Può una PMI crescere vendendo all’estero?
In un mercato interno limitante per le PMI italiane, ampliare le mete di destinazione e diversificare verso nuovi mercati è una necessità.
Tra le qualità imprenditoriali più importanti ci sono senz’altro una buona capacità decisionale e lungimiranza.
Per cogliere le migliori opportunità di business però, bisogna soprattutto saper sfruttare momenti e contesti strategici.
La scelta dei mercati nei quali investire è tra le decisioni più determinanti per dare una svolta al proprio business.
La stragrande maggioranza delle imprese italiane, tuttavia, sceglie di operare solo sul mercato locale; infatti, le aziende che nel 2019 hanno deciso di esportare rappresentano poco più del 4% del totale.
Siamo spesso erroneamente indotti a pensare che l’export sia alla portata soltanto di imprese di grande dimensione, soprattutto se tali investimenti sono rivolti a mercati extra-europei. Secondo il rapporto Ice 2018-2019, in realtà, quasi il 60% delle imprese italiane che hanno scelto di esportare contano meno di 10 dipendenti. La percentuale supera l’80% se si considerano anche le imprese fino a 50 dipendenti.
Ricercare opportunità in diversi mercati aiuta soprattutto a mitigare i rischi. Le grandi sfide per le imprese italiane di piccola e media dimensione sono principalmente due:
- affacciarsi con costanza sui mercati internazionali;
- diversificare le mete secondo le proprie possibilità.
Tra il 2010 e il 2017 le esportazioni sono state infatti l’unico driver di crescita per l’economia italiana .
Le imprese esportatrici sono quelle che hanno osservato in media una crescita più sostenuta del fatturato e che presentano di norma risultati migliori in termini di indici di redditività, profittabilità e solvibilità.
- Oggi la crescita delle imprese passa soprattutto per la via dell’internazionalizzazione. Il mercato italiano e quello europeo rappresentano solo una modesta porzione della domanda a cui le imprese possono attingere.
- Le imprese esportatrici presentano risultati migliori in termini di crescita del fatturato, redditività, profittabilità e solvibilità rispetto alle imprese non esportatrici.
- Esportare non è l’unica via per internazionalizzarsi, si può rendere necessario andare a produrre e investire all’estero per ragioni strutturali e strategiche con effetti positivi anche sull’economia interna.
- Per andare all’estero è necessario dotarsi di una struttura adeguata, accumulare know how e avvalersi di esperti capaci di guidare il processo di internazionalizzazione.
Chiaramente molto dipende anche dalle caratteristiche dell’impresa oggetto dell’internazionalizzazione e dalla reattività del suo imprenditore.
- Innanzitutto, internazionalizzarsi non significa unicamente incrementare il proprio fatturato. Un’impresa che compie questa scelta deve avere ben chiaro quali altri essenziali vantaggi implica un’attività e un coinvolgimento di questo tipo.
- Internazionalizzarsi in primis significa confrontarsi con competitor globali. Un vero e proprio valore aggiunto. Dunque, occorre porsi delle domande:
Chi sono i concorrenti?
Cosa vendono?
Dove vendono?
A quali prezzi?
Come è strutturata la loro rete commerciale?
Come è strutturata la loro rete logistica diretta e indiretta?
Se un’impresa in procinto d’internazionalizzarsi deve reggere il confronto, sono tutti quesiti ai quali vanno fornite risposte ben precise al fine di guidare l’orientamento all’export di una società.
Ma confrontarsi con competitor globali significa soprattutto aggiungere innovazione tecnologica ai propri prodotti, migliorandoli, rendendoli più competitivi e pregni di Unique Selling Proposition (prodotto unico o differenziante rispetto alla concorrenza)